Seminario – Ripresa economica e competitività del sistema-Paese

18 maggio 2011, h. 18.00 – 20.30

Luiss SOG – Via di Villa Emiliani, 14

Relazioni introduttive

  • Renato Loiero, Consigliere Parlamentare, Commissione Bilancio Senato – Coordinatore Area Economica AGDP

Modera

  • Pompeo Savarino, Presidente AGDP

Interventi

 

  • Andrea Bianchi, Direttore Generale Politica Industriale MSE
  • Magda Bianco, Dirigente servizio studi Banca D’Italia
  • Vincenzo Chiorazzo, ABI Responsabile Ufficio Analisi Economiche
  • Enrico Cisnetto*, Economista
  • Natale D’Amico, Consigliere Corte dei Conti
  • Salvo Fleres, Senatore PDL
  • Patrizia La Monica, Direttore Rapporti Istituzionali di Confindustria
  • Massimo Schintu, Segretario Generale Aiscat
  • Marco Stradiotto*, Senatore PD
  • Pino Di Taranto, Professore storia e teoria dello sviluppo economico Luiss

 

* è stato invitato

 

Partecipano alla discussione a porte chiuse:

  • Alumni Luiss
  • Membri AGDP
  • Componenti comitato scientifico di OSECO

 

Abstract

Seminario 18 Maggio

Seminario 18 Maggio

La bassa crescita italiana ed europea affondano le loro radici in mali antichi, in sintesi, in quella sindrome che è chiamata la Eurosclerosi.

Sul piano congiunturale si avvertono i primi flebili segnali di ripresa, in particolare legati al settore delle esportazioni.

Ma sulla ripresa gravano le incognite connesse alla bassa qualità dei servizi pubblici, gli oneri imposti all’attività d’impresa, le difficoltà del settore privato a essere competitivo e presente nei settori innovativi.

Ciò rappresenta la cartina di tornasole di come che nella crisi globale recente, l’Italia abbia risentito per certi versi in termini più attenuati del calo dell’attività economica internazionale, ma alò tempo stesso ciò dimostra che i nostri problemi sono di natura strutturale più che congiunturali, l’Italia nel corso degli ultimi decenni ha sperimentato un graduale ridimensionamento del proprio tasso di sviluppo. Già prima della crisi l’economia italiana registrava ritmi di crescita medi annui intorno all’1.5%. Il dibattito si era quindi da tempo incentrato sui fattori di debolezza strutturale alla base della bassa crescita potenziale.

La debolezza dell’economia italiana è peculiare anche nel confronto internazionale. Tutti gli indicatori di sviluppo evidenziano una performance peggiore rispetto a quella delle altre maggiori economie.

A voler individuare un fattore critico, va rilevato come la perdurante stagnazione dipenda dalla lenta dinamica della produttività totale dei fattori.

Dinanzi al deterioramento della competitività di prezzo le imprese italiane avevano, già prima della recessione, iniziato a riorganizzarsi, cercando in alcuni casi di consolidare posizioni legate alla qualità e al marchio, e concentrandosi quindi su produzioni di nicchia meno esposte alla concorrenza dei new competitors asiatici. Allo stesso modo, alcune avevano iniziato processi di delocalizzazione delle parti del processo di produzione a più basso valore aggiunto per occupato. Il processo di trasformazione della struttura produttiva si caratterizzava quindi per un processo di declino di molte imprese, ma contemporaneamente si affermava un gruppo di imprese, di dimensione media, che coglieva le sfide della globalizzazione facendo leva sull’innovazione di prodotto e l’internazionalizzazione per superare il modello tradizionale e radicato sul territorio, che aveva guidato lo sviluppo economico italiano sino agli anni Novanta, il “quarto capitalismo” la via italiana alla globalizzazione.

La vicenda Fiat appare oggi l’esempio emblematico e macroscopico di come le scelte imprenditoriali denuncino nei fatti la carenza del sistema-Paese.

Il policy maker è dunque chiamato in causa nella sua capacità di guidare un processo evolutivo, creare convenienze per l’investimento, rafforzare i vantaggi della presenza sul territorio.

Occorre in altre parole serrare le fila dei vari portatori di interesse per scongiurare lo smantellamento dell’apparato produttivo nazionale.

Ovviamente, la politica economica italiana deve sempre essere declinata anche nella chiave interpretativa del dualismo territoriale. Affinché l’Italia cresca di più è necessario che il Mezzogiorno, dove risiede un terzo della popolazione, recuperi terreno. La fase di bassa crescita economica che il nostro Paese ha vissuto dall’ultima parte degli anni novanta e la pesante recessione dalla quale sta lentamente uscendo ripropongono infatti con forza la questione meridionale: la finanza pubblica ha meno risorse che in passato da dedicare alle regioni arretrate. L’affanno del Mezzogiorno sul piano del reddito pro capite ha assunto proporzioni gravi: infatti, posta uguale a 100 la media nazionale del periodo 2008-2009, l’indicatore sintetico è pari a 113,2 nel Centro-Nord ed è fermo a 75,0 nel mezzogiorno; si raggiunge così, eliminate alcune aree eccellenti, un divario di quasi 40 punti percentuali.

E’ questo l’effetto della progressiva contrazione della spesa pubblica in conto capitale pro capite nel Sud, che adesso coincide con quella del centro-nord e della pesante recessione economica.

Occorre una strategia di attacco ai tre deficit del Sud (infrastrutturale, di qualità dell’azione pubblica, di legalità).

La difficoltà delle classi dirigenti ad affrontare la crisi economica rischia di intersecare l’attuazione del federalismo fiscale, una riforma complessa e della quale si temono i contraccolpi in termini di misure di coesione e di equità.

E’ necessario diminuire il debito pubblico, affrontare l’invecchiamento della popolazione e sostenere la crescita dell’economia italiana. Sopra ogni cosa, è necessaria un’accelerazione dei ritmi di crescita della produttività. Ciò rende urgente un vasto programma di riforme, in grado di assecondare una svolta nel modello produttivo.

Questo è l’unico antidoto per interrompere il depauperamento del tessuto economico produttivo.

Per questo AGDP vuole chiamare in causa vari attori dell’economia nazionale, insiemi ad esponenti politici dei maggiori partiti, per trarre auspici e indicazioni sul prossimo futuro.