L’allarme lanciato dalla CGIL sugli effetti della manovra sul pubblico impiego non trova alcuna conferma né nei numeri né dal punto di vista giuridico. La recente manovra finanziaria sul pubblico impiego ha un effetto limitato rispetto all’intervento complessivo. Ciò si desume in maniera semplice leggendo la norma della manovra che fissa un risparmio sul pubblico impiego, in termini di indebitamento netto, pari a 740 milioni di euro, cioè uno 0,5% della massa salariale complessiva del settore. Sulla base di tale scenario occorre precisare, rispetto alle stime diffuse dalla CGIL, che il mancato incremento contrattuale sul triennio 2010-2012, in valore medio, è stimabile in 90 euro al mese (dato a regime). Conseguentemente, vanno rivisti al ribasso anche i dati relativi all’entità dei possibili arretrati sullo stesso triennio, che ammontano in media a circa 2000 euro pro-capite. In merito a quest’ultimo dato, occorre anche ricordare che le trattative condotte in passato – anche quelle più generose – non hanno mai riconosciuto incrementi decorrenti dal 1 gennaio di ciascuno degli anni interessati dal rinnovo. Se anche si volesse prendere il dato medio di incremento salariale erogato dal Governo Prodi per il biennio economico 2006-2007, pari a 100 euro mensili per i Ministeri, non si raggiungerebbero mai i valori dichiarati dalla CGIL.
Va anche sottolineato come la misura più significativa della nuova manovra sui salari pubblici, sia la proroga di un ulteriore anno (fino a tutto il 2014) delle limitazioni alla crescita delle retribuzioni già previste lo scorso anno. Non vi sono pertanto nuove misure di contenimento ma solo l’eventuale estensione temporale delle misure già previste.Come detto, tale quadro trova una sostanziale conferma negli obiettivi di risparmio in termini di indebitamento netto indicati dalla manovra che ammontano a 740 milioni di Euro per il 2014. Occorre peraltro precisare che gli obiettivi di risparmio non sono dovuti unicamente al contenimento delle retribuzioni ma includono anche altre misure, tra cui la limitazione del turn over. Anzi la stessa manovra lascia un margine di discrezionalità nel decidere una misura rispetto a un’altra.
Quanto poi alla lamentata perdita del potere d’acquisto dei salari, è incontestabile che le due manovre (soprattutto quella dello scorso anno) determineranno, sul prossimo triennio, una crescita dei salari inferiore agli andamenti dell’inflazione (sarà corrisposta infatti la sola indennità di vacanza contrattuale).
Tuttavia, osservando i dati dell’Aran sull’andamento dei salari su un arco temporale più lungo (a partire dall’anno 2000) e tenendo conto degli effetti dei due interventi correttivi, è altrettanto incontestabile che la crescita dei salari pubblici si è complessivamente mantenuta al di sopra dell’inflazione e degli incrementi del settore privato, con il quale si avrà una convergenza solo dal 2014, per effetto delle misure di contenimento adottate (si veda, al riguardo la successiva figura). Dunque, sul periodo osservato non vi è stata “perdita del potere d’acquisto dei salari”.
I dati diffusi dalla CGIL non tengono conto infine dell’effetto di possibile crescita dei trattamenti accessori, dovuto al cosiddetto “dividendo dell’efficienza”. La manovra riconosce infatti alle amministrazioni più “virtuose” che saranno in grado di dimostrare “risparmi di spesa” ulteriori rispetto a quelle previste dalle ultime due manovre – ottenuti attraverso misure di razionalizzazione e riqualificazione (ad esempio, misure di semplificazione e digitalizzazione) – la possibilità di destinare ai trattamenti accessori del personale il 50% delle economie conseguite. Pertanto il pubblico impiego contribuisce alla manovra, com’è giusto che sia, ma con misure sostenibili che tengono conto anche della capacità di efficienza e di responsabilità delle singole amministrazioni e di quanto percepito dai dipendenti pubblici negli anni precedenti alla crisi.
martedì 19 luglio 2011