Lo scenario di finanza pubblica che si è delineato dopo la crisi finanziaria del 2008 e formalmente dopo il Patto europeo di stabilità e crescita del marzo 2011 costringe il Governo nazionale a dover prorogare le misure di risparmio della spesa delle pubbliche amministrazioni contenute già nel DL 78/2010 e a individuare nuove misure di rafforzamento dei risparmi al fine di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014.
L’articolato che direttamente riguarda il pubblico impiego contiene da un lato la previsione inusuale di un regolamento di proroga dei provvedimenti straordinari già adottati con il DL 78/2010, ma al contempo contiene alcuni strumenti nuovi che sembrano delineare dei percorsi efficaci per conseguire dei risparmi che al contempo salvaguardino le funzioni core e non deprimano il settore pubblico. Nello specifico infatti risulta di grande interesse la previsione contenuta all’art. 16 del decreto legge 98/2011, in materia di piani di razionalizzazione che tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 possono adottare per perseguire maggiori economie nell’ottica di un ridisegno delle strutture, superando in tal modo la logica del taglio lineare, al fine di finanziare la contrattazione di secondo livello. I piani di durata triennale, da aggiornare annualmente, devono puntare alla razionalizzazione e riqualificazione delle strutture amministrative attraverso la semplificazione e la digitalizzazione, con l’obiettivo di ridurre la spesa di funzionamento. Il legislatore nel definire la rilevanza dei piani e il loro ambito di competenza fa riferimento a fenomeni significativi dal punto di vista finanziario e funzionale, quali: gli appalti di servizio, gli affidamenti alle partecipate e il ricorso alle consulenze attraverso le persone giuridiche.
La disposizione qui richiamata prevede che attraverso i piani di razionalizzazione possa essere destinato il 50 per cento dei risparmi per finanziare la contrattazione integrativa e di questo ammontare il 50 per cento deve essere finalizzato all’applicazione dell’art. 19 del d.lgs.150/2009, in materia di performance individuale. Per le amministrazioni centrali dello Stato la restante quota di risparmi va versata in un apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, mentre per le restanti amministrazioni detta quota potrebbe concorrere al miglioramento della qualità dei servizi.
In considerazione delle polemiche che hanno preceduto anche questa manovra relativamente alla contrapposizione tra tagli lineari e tagli mirati, probabilmente la logica dei piani, soprattutto se necessari a finanziare la contrattazione integrativa spinge l’organo di indirizzo politico a gurardarli con interesse. In mancanza del rinnovo contrattuale nazionale, sia per il triennio 2010-2012 che per quello successivo 2013-2015, la spinta ad individuare risorse per il livello di contrattazione e quindi ad adottare i piani porterà i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali a svolgere un ruolo nuovo e ad avviare delle relazioni sindacali virtuose nel settore pubblico. La stessa spending review prevista dall’art. 9 del decreto legge 98/2011 rischia di rimanere sulla carta se non è accompagnata fin dalla fase di partenza da una profonda revisione della macro organizzazione e quindi dei procedimenti. D’altronde dopo l’Intesa del 4 febbraio 2011 tra Governo nazionale ed organizzazioni sindacali sulle modalità applicative dell’art. 19 del d.lgs. 150/2009 dopo l’entrata in vigore del DL 78/2010 si pone il problema di come finanziare il pagamento della performance individuale, stretti tra gli obblighi del decreto legislativo, il tetto contenuto sui fondi della contrattazione integrativa ed un’Intesa di carattere politico, che certamente qualche problema pone nelle relazioni sindacali.
Il compromesso tra politica e organizzazioni sindacali, che ha caratterizzato le relazioni sindacali nel settore pubblico dagli anni ’90 ad oggi, basato sulla crescita della spesa e volto da un lato a consentire alla politica di effettuare le proprie scelte di spesa spesso inefficiente, attraverso esternalizzazioni che si sono rivelate delle duplicazioni costose, e dall’altro a garantire alle organizzazioni sindacali rinnovi di primo e secondo livello generosi senza dover assicurare in cambio flessibilità e produttività, potrebbe con lo strumento dei piani di razionalizzazione venir meno.
L’importanza dei piani in questa fase storica è data altresì da alcuni rilevanti fattori di contesto quali: l’attuazione della legge delega sul federalismo fiscale e l’individuazione dei fabbisogni standard alla luce delle funzioni fondamentali, il ridisegno della spesa pubblica, la creazione di un nuovo modello di welfare state sostenibile e responsabile, per non parlare della spinta necessaria verso un processo forte di digitalizzazione.
Il contratto di secondo livello è naturalmente il più idoneo ad accompagnare processi di ristrutturazione, in quanto consente di rivedere l’organizzazione del lavoro, di aumentare la flessibilità del personale a tempo indeterminato e di legare la retribuzione alla produttività e ai risparmi. Sarebbe utile per questo completare il dettato normativo contenuto ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 16 del decreto legge 98/2011 con alcune clausole di salvaguardia e di incentivo, come ad esempio escludere le amministrazioni che adottano i piani dai tagli lineari di recupero degli scostamenti sugli obiettivi di risparmio oppure inserire i piani tra i parametri di virtuosità per gli enti sottoposti al patto di stabilità interno.
Interessante inoltre segnalare come la manovra costringa sempre più, oggi a guardare alle pubbliche amministrazioni anche nel loro aggregato consolidato, chiedendo di computare in maniera trasparente anche le spese delle società interamente partecipate. Innanzi tutto l’art. 8 del decreto di manovra prevede che tutte le pubbliche amministrazioni pubblichino sul proprio sito istituzionale il bilancio delle società di cui detengono direttamente o indirettamente quote di partecipazione anche minoritaria. La modifica all’art. 76 del DL 112/2008, inoltre, relativamente alle modalità di calcolo della spesa del personale, include anche le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale. Gli stessi piani, afferma il comma 4 dell’art. 16, possono interessare le partecipate e il ricorso alla consulenza attraverso persone giuridiche, area vasta di inefficienze non facilmente comprimibile senza un’analisi ed un intervento mirato dal basso. Fino adesso le disposizioni in materia di consulenze e incarichi, infatti, hanno riguardato, in termini, di riduzione della spesa esclusivamente le persone fisiche, evitando di porre un argine al fenomeno ben più considerevole degli appalti di servizio la cui utilità è sempre da verificare. Infine, lo stesso art. 20 del Decreto legge 98/2011, così come modificato in sede di conversione dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al comma 2, nell’individuare i parametri di virtuosità per regioni ed enti locali, l’aver avviato operazioni di dismissione di partecipazioni societarie. Fenomeno giuridico finanziario lievitato in maniera esponenziale negli ultimi venti anni, al punto da far coniare l’espressione “capitalismo municipale”.
Lo strumento del Piano potrà portare la parte datoriale e le organizzazioni sindacali a confrontarsi realmente su tutti i processi dell’Ente, nelle sue diverse articolazioni. Piuttosto che ottenere forme di concertazione su atti datoriali sarà più strategico per un sindacato moderno del settore pubblico, un po’ come avviene nel settore privato, intervenire sulle scelte strategiche di programmazione e spesa. La sfida economico finanziaria che abbiamo davanti richiede modelli nuovi di relazione sindacale, che riguardino innanzi tutto i processi ampi di riforma, che dovranno portare a ridisegnare il settore pubblico dei prossimi anni. L’interesse delle OO.SS. non sarà più rivolto soltanto ai singoli atti e alle risorse del fondo, ma prima ancora all’andamento gestionale dell’Ente. Sarà interesse di questi stakeholders rendere trasparente la gestione dell’Ente e conoscere i dati economico finanziari dello stesso in tutte le sue articolazioni.
Per le organizzazioni sindacali un segnale che va dato riguarda la disponibilità a rivedere il settore pubblico per settori omogenei e non solo ad accettare i tagli. Serve oggi più che mai un ruolo propositivo del sindacato che metta in mora ove necessario il vertice politico, incapace in questa fase storica di guidare il cambiamento e di ridisegnare l’assetto istituzionale ed amministrativo dell’Italia del XXI° secolo. Le relazioni sindacali nel settore pubblico sono state fondate sulla spesa pubblica e non su uno scambio virtuoso di impegni delle parti. Non a caso sono state vissute spesso dal vertice politico come un momento di gestione del consenso. Per questo servono strumenti ed approcci responsabilizzanti, rispetto alla crescente scarsità di risorse pubbliche e all’incremento delle istanze sociali, ormai obbligatori in un contesto istituzionale federalista.
Oggi le relazioni sindacali nel settore pubblico, come avviene nel settore privato, devono tentare di difendere le funzioni, il ruolo professionale dei lavoratori e solo di conseguenza gli aspetti economici del rapporto lavoro. Occorre soprattutto in questa fase storica ripartire dalle funzioni e da un ruolo nuovo del secondo livello di contrattazione. Quest’ultimo una volta rispettati i vincoli di spesa, deve essere ancorato all’organizzazione del lavoro e quindi ai processi di riorganizzazione. Una modalità di finanziamento virtuoso della contrattazione integrativa, che sola può assicurare una gestione efficiente ed efficace delle risorse umane.
Lotta alle auto blu e alle assenze sono purtroppo poca cosa rispetto alle sfide di oggi e al nuovo scenario di finanza pubblica che si è aperto dopo la crisi di questi anni.