Brevi riflessioni sulla sentenza del 18 ottobre 2012 n. C-305/11 della Corte di giustizia europea, Sez. VI

La Corte di giustizia dell’Unione europea boccia la norma nazionale che azzera l’anzianità maturata nel corso dei contratti a tempo determinato

Brevi riflessioni sulla sentenza del 18 ottobre 2012 n. C-305/11 della Corte di giustizia europea, Sez. VI

La Corte di giustizia dell’Unione europea (Sezione VI) con la sentenza n. C-305/11 del 18 ottobre u.s. è intervenuta su uno degli aspetti maggiormente controversi nelle procedure di stabilizzazione del precariato all’interno delle pubbliche amministrazioni. Procedure di carattere eccezionale, come ha ricordato spesso la Corte costituzionale, che, proprio perchè lontane dal format del reclutamento per concorso pubblico nonché in contrasto con i processi di riduzione della spesa pubblica, risultano particolarmente rischiose per la pubblica amministrazione.

Oggetto del contendere è l’anzianità maturata nel perdurare dei contratti a tempo determinato ed il suo azzeramento, sulla base di una norma speciale, nella fase di trasformazione del contratto da determinato ad indeterminato. La pronuncia fa seguito all’istanza promossa presso la Corte europea in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato, a seguito dell’azione esperita dalle ricorrenti, regolarizzate presso contro l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e soccombenti d’innanzi al Tar del Lazio, sede di Roma. La Corte, nel tracciare il quadro della normativa nazionale di riferimento, (sulla quale, naturalmente, si proietta il riflesso delle disposizioni contenute negli artt. 3 e 97 della Costituzione che sanciscono rispettivamente il principio della parità di trattamento e l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge), ha considerato l’art. 1 comma 519 della legge finanziaria 2007; l’art. 75 comma 2 del DL 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico …” e l’art. 36 del Dlgs 30 marzo 2001 n. 165. E, specificamente, ha esaminato il disposto combinato delle norme suddette in riferimento ai contenuti della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio europeo del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, attraverso il quale le parti hanno inteso migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché creato un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.

Le tre norme nazionali sopra citate stabiliscono rispettivamente: la stabilizzazione dei lavoratori con contratto a tempo determinato, considerando l’anzianità quale requisito che consente l’assunzione in deroga al concorso; l’inquadramento al momento del passaggio in ruolo al livello iniziale attribuito col primo contratto ed un assegno ad personam pari all’eventuale differenza tra il trattamento economico conseguito e quello spettante all’atto del passaggio in ruolo; la possibilità per il datore di lavoro pubblico di usufruire di forme contrattuali flessibili nella consapevolezza che in nessun caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Più nello specifico, la Corte è stata interpellata per sciogliere il quesito della compatibilità della normativa nazionale con il disposto contenuto al punto 4 della clausola 4 dell’accordo quadro, a tenore del quale << i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive>>. Di fronte all’evidenza esposta dal Consiglio di Stato secondo il quale una norma imperativa di legge (l’art. 75 comma 2 del DL 25 giugno 2008 n. 112) che dispone l’azzeramento dell’anzianità maturata nel corso dei periodi coperti da contratto a tempo determinato sia essa stessa condizione oggettiva, la Corte ha rilevato l’infondatezza di tale asserzione non dovendosi ricercare l’oggettività della condizione in un disposto normativo, per sua natura generale e astratto, quanto nella specificità per cui << la disparità di trattamento sia giustificata dall’esistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta disparità risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine >>. La Corte ha parimenti rigettato l’obiezione esposta dal Consiglio di Stato e riferita all’impossibilità di applicare il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 del citato accordo, in virtù del fatto che alle ricorrenti, essendo passate di ruolo, non sarebbe applicabile il suddetto accordo riferito esclusivamente ai dipendenti a tempo determinato, specificando che << escludere a priori l’applicazione dell’accordo quadro … significherebbe limitare – in spregio all’obiettivo assegnato a detta clausola 4 – l’ambito della protezione concessa ai lavoratori interessati contro le discriminazioni e porterebbe ad un’interpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, contraria alla giurisprudenza della Corte >>. Pertanto, a tenore della Corte, l’unica discriminante tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ai fini del computo del periodo di anzianità, è da ricercare nella comparabilità o meno delle funzioni esercitate dai lavoratori medesimi, nella consapevolezza che, qualora sussistano situazioni comparabili, il computo del periodo di anzianità non potrà essere differente, se non in spregio al principio di non discriminazione e per ciò stesso illegittimo. Per stabilire se i lavoratori a tempo determinato esercitino un lavoro identico o simile ai sensi dell’accordo quadro rispetto a coloro che sono assunti a tempo indeterminato, occorre, verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali persone si trovino in situazioni comparabili. E questo, a tenore della Corte, è un accertamento che compete esclusivamente al giudice di merito.

In merito il Dipartimento della funzione pubblica con la Circolare del 18 aprile 2008, n. 5, in merito alla procedure di stabilizzazione, raccomandava come “il concetto di stabilizzazione non ha una valenza giuridica e non va in nessun caso inteso come intervento volto alla “trasformazione” a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a tempo determinato in quanto ciò risulta incompatibile con le disposizioni previste in materia di costituzione di rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.” Inoltre aggiungeva la Circolare 5/2008 “l’elemento che è opportuno sottolineare è che la durata del precedente contratto a tempo determinato è da considerare utile solo come requisito di accesso alla procedura speciale e riservata della “stabilizzazione“.

Purtroppo la pubblica amministrazione, in questo caso come in altri, si è fatta promotrice di una norma discriminatoria (l’art. 75 del DL 112/2008) avendo scelto di gestire la procedura di stabilizzazione in maniera impropria, anche per la cattiva formulazione delle norme in materia. Le norme sulla stabilizzazione consentivano, infatti, sia processi di trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato sia l’avvio di concorsi riservati ai lavoratori a tempo determinato. Quando la pubblica amministrazione ha utilizzato il concorso è riuscita a ridurre i rischi di procedure ambigue e a realizzare la cesura tra la precedente esperienza lavorativa e la nuova. Il concorso, pur se riservato, costituisce inoltre per il datore di lavoro pubblico la sede idonea per rappresentare il proprio fabbisogno di personale, sulla base delle vacanze di organico, e quindi per motivare “la ragione oggettiva che giustifichi la totale mancanza di presa in considerazione dei periodi di servizio maturati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato“. Appare evidente pertanto che ogni qual volta la PA si allontana dall’istituto del concorso pubblico, come nel caso della “stabilizzazione” configurata come trasformazione del rapporto, non può trascurare le norme di diritto privato e men che meno i principi di derivazione comunitaria e certamente non può farsi promotrice, per ridurre i danni relativi ad un utilizzo improprio dei contratti di lavoro flessibili e alle conseguenti sanatorie, di norme chiaramente discriminatorie, come in questo caso con l’azzeramento dell’anzianità pregressa.

 

Avv. Giandomenico Amato

Prof. Francesco Verbaro