L’apprendistato: uno strumento di riforma del reclutamento nel settore pubblico
L’applicabilità dell’apprendistato costituisce una grande opportunità per le pubbliche amministrazioni per migliorare il sistema di reclutamento delle pubbliche amministrazioni, che consente di recuperare in tal modo l’occasione perduta in sede di armonizzazione al decreto legislativo 276/2003 (“Biagi”), mai realizzata per le note resistenze sindacali, nonché per la scarsa sensibilità della parte datoriale.
In questi anni il tema del reclutamento nel settore pubblico ha riguardato la dimensione della “quantità” e quindi gli aspetti finanziari del turnover e poco, a parte l’aspetto formale del rispetto del concorso pubblico, il tema dell’efficacia del reclutamento e della selezione delle competenze necessarie. Basti pensare che il regolamento che disciplina l’accesso ai pubblici uffici è del 1994 e da allora non è mai stato modificato.
L’estensione dell’apprendistato, istituto oggetto di una politica di rilancio nel settore privato per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e la formazione migliore delle competenze richieste dai processi produttivi, costituisce un’occasione per costringere il settore pubblico a ragionare in termini di competenze e al contempo per evitare l’esplosione del precariato nelle pubbliche amministrazioni. Lo schema di decreto approvato in Consiglio dei Ministri prevede l’applicabilità al settore pubblico sia dell’apprendistato professionalizzante sia dell’apprendistato di alta formazione e ricerca. Due tipologie diverse che andrebbero declinate nella loro specificità nel settore pubblico alla luce degli specifici sistemi di inquadramento.
Sarà importante, per questo, rilanciare nel settore pubblico l’attenzione sulla qualità delle dotazioni organiche e dei documenti di programmazione dei fabbisogni, il ridisegno dei profili, oggi di competenza del datore di lavoro e non più materia di contrattazione, nonché la revisione delle declaratorie delle mansioni, che non tengono conto delle nuove tecnologie e dei processi di esternalizzazione e di internalizzazione in corso.
Naturalmente l’apprendistato pone al settore pubblico una serie di problematiche da sciogliere in considerazione della specificità del settore pubblico. Si pone infatti subito il tema della ripartizione della materia tra legge e contratto. Mentre nel settore privato si da spazio alla contrattazione a discapito della legge, anche regionale, nel settore pubblico si cerca ormai la via celere e più efficace della fonte pubblicistica. Si tratta comunque di un’occasione per le organizzazioni sindacali per rilanciare il ruolo positivo della contrattazione e per definire nel caso di specie i livelli di primo inquadramento o la riduzione della retribuzione, in considerazione della bassa produttività iniziale, nonché la durata e le modalità di erogazione della formazione. Il regolamento dovrà individuare i momenti di selezione e la procedura di evidenza pubblica specifica, nonché la possibile sanzione in caso di recesso alla fine del periodo di formazione per percentuali elevate, utile a responsabilizzare il datore di lavoro pubblico.
Anche in questo caso occorre dirimere una serie di dubbi connessi al sistema finanziario di programmazione dei fabbisogni. Risulta chiaro che appare necessario prevedere il posto in dotazione organica. In questo caso però potrebbe essere possibile puntare e coprire in tempo le scoperture future. Proprio per la necessità di avere dei formatori interni, sarebbe auspicabile che il dipendente esperto in uscita (si pensi ai settori tecnici: geometri, ragionieri, ingegneri) accompagni e formi il dipendente in entrata, terminando il periodo formativo al momento in cui il dipendente interno cessa dal servizio. Questo richiede una maggiore flessibilità e capacità nel programmare i fabbisogni, che le amministrazioni pubbliche spesso non hanno manifestato.
Importante, sarà inoltre la disciplina della formazione interna ed esterna. Quella esterna in questo caso potrebbe essere erogata dalle scuole di formazione pubbliche e non solo dalle regioni. Per la formazione interna “aziendale”, si pone il tema della certificazione e verifica della qualità della stessa. Su questo aspetto, traendo vantaggio dagli errori del settore privato, si potrebbe realizzare un sistema semplificato, cercando di favorire la nascita di formatori interni alle amministrazioni e al contempo assegnando alle scuole di formazione il compito di asseverare la formazione effettuata, evitando di riproporre metodologie e modelli da formazione universitaria. Come sta avvenendo nel privato, è necessario oggi riflettere sulle competenze, sulle finalità e sulla qualità della formazione. Proprio nella fase storica in cui la formazione è oggetto di tagli (cfr. art. 6, comma 13, del decreto legge 78/2010), può essere utile rilanciare il tema che potrebbe rendere meno formale ed autoreferenziale la gestione delle risorse umane.
Il contratto di apprendistato potrà consentire, quindi, di abbassare l’età media di ingresso nella pubblica amministrazione e migliorare il nostro capitale umano. Le misure di disincentivo al trattenimento in servizio e sulla risoluzione anticipata d’altronde non vanno applicate solo in termini finanziari, per ridurre il costo del lavoro, ma cercando di svecchiare e riqualificare professionalmente il capitale umano della PA. Per fare questo servirebbe effettuare a monte una seria ricognizione delle competenze oggi necessarie nella PA e confrontarle con quelle presenti, per individuare finalmente le eccedenze e i fabbisogni formativi e quelli da soddisfare con i piani di reclutamento. L’apprendistato si presenta come una riforma gestionale, prima che normativa, il cui successo dipenderà, ancor più in questo caso, dalla capacità delle amministrazioni di essere e comportarsi come un privato datore di lavoro.
Ovviamente come accaduto altre volte, occorre evitare che regole classiche di contenimento dei costi, come il divieto di assumere o il taglio della spesa sulla formazione, blocchino sul nascere l’avvio di questo istituto.
Francesco Verbaro