(contributo del Cons. Carlo Deodato agli Stati Generali PA)
Una delle critiche che vengono più frequentemente rivolte alla dirigenza pubblica è di difettare di una vera cultura manageriale.
Si contesta, in altri termini, ai dirigenti di non possedere coraggio e attitudine ad assumersi le responsabilità ad essi affidate dalla legge e, quindi, di arrestarsi a una gestione timida, improduttiva, sterile ed inefficiente (se non dannosa) dei compiti di erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese.
Si assume, inoltre, che l’amministrazione delle competenze resta spesso imprigionata in uno schema giuridico-burocratico, che si preoccupa più del rispetto formalistico della norma, che dei contenuti e della qualità del servizio che gli utenti si attendono da una sua virtuosa attuazione.
Ma si tratta di un’accusa fondata? In parte sì. Ma solo in parte.
Se è vero, infatti, che la classe dirigente italiana difetta (in una certa misura) di una seria e strutturata cultura della responsabilità e del risultato, è anche vero che, a cause attinenti a una formazione carente, si aggiungono altri fattori critici, che concorrono a produrre le inefficienze da più parti denunciate.
Ne indichiamo quattro.
Il contesto ordinamentale sanzionatorio nel quale si muove il dirigente pubblico presenta rilevanti profili di indeterminatezza, atipicità e imprevedibilità, per mezzo della proliferazione di fattispecie indefinite di responsabilità (come tali violative delle
esigenze minime dello Stato di diritto), che inducono, nella psicologia del dirigente, uno stato di preoccupazione e che rischiano di provocare, di conseguenza, la paralisi dell’azione amministrativa.
La recente legislazione ha moltiplicato gli adempimenti formali e burocratici estranei alla mission della struttura, producendo, ad esempio, una nuova burocrazia dell’anticorruzione.
Le dotazioni organizzative risultano spesso inadeguate allo svolgimento delle competenze istituzionali dell’ufficio.
Il quadro regolativo è (sempre più) spesso incoerente e ambiguo e si presta a decifrazioni ed applicazioni contraddittorie e incerte, costringendo, perciò, il dirigente a risolvere complesse questioni interpretative ed esponendo, quindi, la sua azione a ritardi o, per paradosso, alla contestazione di violazioni di legge (nonostante sia, appunto, poco chiara).
In definitiva, la formazione dei dirigenti dev’essere sì rivista nel senso dell’insegnamento di un’etica della responsabilità e del risultato, che comporti l’assimilazione di un metodo di gestione organizzato nella prospettiva dell’efficienza e della tempestività dell’azione amministrativa.
Ma, a quest’opera di formazione culturale, si devono aggiungere i necessari correttivi alle criticità sopra segnalate: assicurare la prevedibilità delle conseguenze dell’azione amministrativa (mediante la tipizzazione delle fattispecie di responsabilità e l’intervento nomofilattico della Corte dei Conti sugli elementi costitutivi della
responsabilità contabile e del Consiglio di Stato sulle regole di condotta più incerte e controverse); razionalizzare gli adempimenti burocratici estranei al perimetro delle competenze gestorie dell’ufficio (mediante l’eliminazione di quelli ridondanti, eccessivi o superflui); introdurre meccanismi programmatori e organizzativi che assicurino al dirigente l’assegnazione di risorse finanziarie e di personale idonee a un’ottimale gestione delle competenze; ripristinare processi di normazione ispirati ai canoni della better regulation raccomandati dall’OCSE e che garantiscano chiarezza, efficacia e coerenza sistematica dell’intervento regolativo.
In altri termini, il dirigente, al quale va restituito un rinnovato e credibile profilo di civil sevant, dev’essere messo nelle condizioni di assumersi le sue (doverose) responsabilità istituzionali: deve, cioè, poter lavorare senza temere conseguenze sfavorevoli imprevedibili, potendo dedicare la maggior parte del suo tempo e delle sue energie all’assolvimento dei compiti dell’ufficio, con dotazioni organizzative adeguate e in un quadro normativo chiaro e scevro da ambiguità.
In mancanza di questi correttivi, l’efficienza resta inesigibile e la relativa critica alla dirigenza pubblica largamente ingiusta e immeritata.
Carlo Deodato Presidente di sezione del Consiglio di Stato