Sono anni (soprattutto per gli addetti ai lavori) che si parla di tagli e di risparmi della spesa pubblica, ma nonostante il numero di leggi finanziarie e di decreti “taglia spese” la spesa corrente è cresciuta e quel che è peggio si è consolidata. Di fronte alle tante resistenze e difese corporative si è proceduto con i tagli lineari, penalizzando paradossalmente le amministrazioni più virtuose e modificando solo le tipologie di spesa a discapito dei servizi. Analizzando l’andamento della spesa corrente rispetto alla spesa per investimenti – possiamo dire – che la “spesa cattiva” ha scacciato la “spesa buona”.
Di fronte a processi di ridondanza e incremento delle strutture che si sono manifestati negli ultimi venti anni, non è più possibile procedere per tagli lineari e con i soliti strumenti. Serve quindi accorpare enti, eliminare funzioni non core , eliminare le tante duplicazioni e uffici inutili. Questo per salvare i servizi aumentando l’efficienza, che ricordiamo è il rapporto tra output e input. La percezione, infatti, che tutti noi abbiamo (purtroppo reale) è che negli anni siano cresciuti gli “input” ma che al contempo si siano ridotti gli “output”. Il tutto innescando un circolo vizioso che porta a tagliare ulteriormente la spesa con effetti ancora più pesanti sul funzionamento della macchina.
E’ inutile, infatti, continuare ad umiliare i lavoratori delle pubbliche amministrazioni bloccando praticamente per un decennio i rinnovi contrattuali. Il risultato scontato sarà certamente quello di avere tanti dipendenti vecchi, low skilled e demotivati.
Per questo è importante il segnale contenuto nel DL 101/2013 in materia di prepensionamenti che allarga l’ambito di applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni e fino al 2015 delle disposizioni di deroga alla “riforma Fornero” sulle pensioni. Un segnale importante e all’insegna del rigore in quanto subordina l’utilizzo dei requisiti per la pensione vigenti ante DL 201/2011 alla dichiarazione di eccedenza per ragioni funzionali e finanziarie.
Una norma che servirebbe anche per razionalizzare le tante società partecipate che gravano sui bilanci delle pubbliche amministrazioni e che registrano costi di funzionamento e per il personale elevati e fuori mercato. Invece molte sono le voci di critica nei confronti di queste norme che vengono viste stupidamente come deroghe di privilegio nei confronti dei dipendenti pubblici. Il clima di “caccia alle streghe” nei confronti di chiunque venga pagato con risorse pubbliche impedisce di vedere i risparmi che si genererebbero se nel settore pubblico si potessero utilizzare norme di prepensionamento, contratti di solidarietà o altri strumenti di flessibilità in uscita.
Non si comprende infatti come, a fronte di una maggiore spesa pensionistica rispetto ai risparmi preventivati dall’ultima riforma, si genererebbero reali risparmi in termini di ristrutturazioni, retribuzioni e su molte altre voci di spesa monitorate dal legislatore. Norme, ad esempio, che hanno previsto risparmi dalla chiusura delle società partecipate, dalla gestione associata dei servizi, dalla soppressione degli enti, dalla dismissione delle auto di servizio, dalla riduzione degli spazi per uso strumentale e delle spese per utenze, nonché dal contenimento della retribuzione accessoria hanno finora ottenuto scarsi risultati a causa dell’impossibilità di favorire la fuoriuscita del personale, che costituisce un elemento di vincolo alla effettiva applicazione delle disposizioni citate.
L’incapacità di alcune strutture responsabili del governo della spesa di riuscire a valutare la spesa e i risparmi in maniera complessiva e non per compartimenti stagni porta ad effetti paradossali come quello di dover mantenere il personale e le strutture per far salve le stime dei risparmi sulla riforma delle pensioni. Un esempio ci è dato dalle norme sulla soppressione delle società partecipate, più volte prorogate e con maggiori deroghe.
Le ristrutturazioni di grandi settori come, ad esempio, le poste, il credito, i trasporti, le ferrovie, la grande industria pubblica e privata, sono state avviate grazie ad una normativa di favore e ad una serie di strumenti di flessibilità che il settore pubblico, oggi ampiamente inteso, non ha. Anzi paradossalmente il nostro settore pubblico si trova oggi a dover affrontare una strutturale e grave crisi finanziaria e i necessari processi di ristrutturazione con la più rigorosa normativa sulle pensioni vigente in Europa. Con l’ulteriore paradosso che mentre i settori sopra richiamati hanno generato in passato oneri previdenziali significativi per conseguire una migliore efficienza e performance privata, nel nostro caso l’efficienza che si genererebbe tornerebbe ai cittadini in termini di minori spese e maggiore qualità dei servizi.
Se non si comprende questo non ci resta quindi che continuare con le norme di risparmio della spesa che utilizziamo da oltre venti anni. I risultati li conosciamo già.