Cons. Naddeo a seguito delle riforme qual è il ruolo della dirigenza?
Negli ultimi vent’anni il dirigente è stato al centro degli interventi di riforma della Pubblica Amministrazione. Dal 1993 con la separazione tra politica e gestione e con la scelta di un dirigente del pubblico impiego più manager che giurista, gli interventi normativi hanno cercato di trovare una soluzione vincente per una Pubblica Amministrazione più efficiente e produttiva. Purtroppo la soluzione non è stata trovata ed il dirigente è rimasto schiacciato tra politica e gestione, con modelli organizzativi che nulla hanno a che fare con una attività volta alla gestione e non all’adempimento amministrativo. Ovviamente le responsabilità sono anche della classe dirigente che a mio avviso è stata incapace di svolgere quel ruolo manageriale che l’ordinamento gli ha affidato.
Occorre ora decidere quale strada scegliere: quella dell’autonomia del dirigente? Allora occorre attuare veramente la separazione tra politica e gestione – mai attuata, anzi forse oggi l’influenza della politica nella gestione è maggiore rispetto a venti anni fa – affidando al dirigente obiettivi ” veri ” e “misurabili” e valutando la sua attività – e la sua retribuzione – in relazione ai risultati raggiunti. Troppo spesso gli istituti contrattuali, come la retribuzione di posizione e di risultato, che qualificano l’attività di un dirigente, sono stati confusi in un tutto uguale per tutti. Come può il dirigente valutare l’attività dei suoi collaboratori se lui stesso non è oggetto di una valutazione seria?
Cosa auspica per la Pubblica Amministrazione in vista anche dell’insediamento del nuovo Governo? Secondo lei è necessaria una nuova riforma?
Una riforma assolutamente no, ma interventi correttivi, direi chirurgici, si. Sul versante della riduzione della spesa, ad esempio, sono ormai state adottare tutte le misure possibili:
- blocco delle retribuzioni
- blocco della contrattazione collettiva nazionale e maggior controllo sulla contrattazione di secondo livello
- blocco dellepromozioni
- lotta all’assenteismo
- limitazione delle assunzioni (si può assumere solo il 20% dei cessati)
- riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni.
Gli interventi sono stati dolorosi ma indispensabili vista la grave situazione finanziaria nel nostro Paese e nel resto d’Europa. Ovviamente le misure adottate devono essere accompagnate da una seria e ampia riorganizzazione della macchina amministrativa. Questo perché gli interventi dei tagli sono stati fatti su un’organizzazione statale nata più di trenta anni fa e che a quel tempo non doveva rispondere del suo costo – né della sua efficienza – a livello internazionale: un’organizzazione imponente e pletorica con un numero di dipendenti in eccesso rispetto alle esigenze funzionali. Oggi molte amministrazioni, con organigrammi ormai superati, trovano grandi difficoltà ad operare in una situazione di crisi e con il personale che man mano diminuisce. Per questo diventa necessario intervenire sull’organizzazione partendo dalla razionalizzazione delle strutture, operando degli accorpamenti di funzioni e competenze. L’obiettivo è quello di concentrare l’esercizio delle funzioni istituzionali, attraverso il riordino delle competenze degli uffici, evitando la frammentazione delle attribuzioni e dei processi; unificare le strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali; avviare, possibilmente, personale, nonché l’utilizzo congiunto delle risorse umane in servizio presso le strutture centrali e periferiche.
In questa direzione, ad esempio, più volte si sono fatti tentativi normativi di soppressione di enti di piccole dimensioni (50 – 70 dipendenti) con conseguente trasferimento delle competenze (e del personale) alle amministrazioni vigilanti, non ultimo nel decreto legge della manovra di agosto. Ma ogni volta la norma di soppressione dei piccoli enti è stata eliminata. E’ inutile ricordare che un ente per piccolo che sia, ha un presidente, un consiglio di amministrazione, un collegio dei sindaci, un direttore generale, qualche dirigente ecc. Pertanto non bastano solo i tagli alla spesa, che lentamente stanno strozzando le amministrazioni, ma una riorganizzazione delle stesse.
Il nostro Paese sta vivendo una fase delicata. Quale può essere il contributo di AGDP, dell’Associazione delle Classi Dirigenti e quindi, in generale, della classe dirigente italiana?
Secondo me in questo scenario la classe dirigente può svolgere un ruolo fondamentale. Sarà però decisivo affidare ai dirigenti anche la responsabilità di un budget finanziario. I dirigenti devono avere capacità di gestione di risorse umane e risorse finanziarie. Su questo devono essere valutati e remunerati. Rispondendo anche delle risorse spese il dirigente diventerà un degli attori principali della riduzione della spesa e solo così si potranno superare i tanto odiati tagli lineari. L’Associazione deve mirare ad una classe dirigente autorevole, preparata e disposta a misurarsi senza difese corporative simil sindacali.