Oggi ricorrono i dieci anni dell’uccisione di Marco Biagi, un giuslavorista e un servitore dello Stato che ha generosamente dato tanto in termini di idee e di passione, innovando e ridisegnando il quadro normativo in materia di lavoro, e soprattutto l’approccio culturale del nostro Paese in materia, pagando per questo un prezzo carissimo.
L’eredità intellettuale e culturale diversamente da quella materiale va inventariata con il tempo e soprattutto analizzata alla luce delle continue sfide, che uomini grandi però hanno saputo prevedere con largo anticipo in termini di diagnosi e di soluzioni.
A dispetto della convergenza pubblico privato il settore pubblico è rimasto ad una certa distanza a guardare i mutamenti che avvenivano nel settore privato e a non cogliere non solo le opportunità in termini di adeguamento normativo (vedi il d.lgs 276/2003), ma anche le opportunità derivanti dalle riflessioni che si avanzavano, ad esempio, sull’organizzazione del lavoro o sull’efficacia delle politiche sul lavoro.
Il problema a monte è che le pubbliche amministrazioni non hanno affrontato la riforma degli anni ’90 in un’ottica di privatizzazione, intesa come mutamento della gestione attraverso l’adozione di strumenti privatistici rispetto agli obiettivi, ma solo in termini di cambiamento della fonte regolatrice che andava a disciplinare il rapporto di lavoro.
Il pensiero e le idee di Marco Biagi, che si sono tradotte poi in norme importanti per il mercato del lavoro privato, hanno modificato innanzi tutto l’approccio con il quale guardare il mercato e le politiche del lavoro, in una visione dinamica e non statica. A lui dobbiamo tra i primi l’attenzione al tasso di occupazione piuttosto che al tasso di disoccupazione, ma soprattutto all’efficacia delle politiche e quindi delle norme di tutela che non deve essere teorica ma effettiva.
Egli parlò per primo del management by objective da contrapporre al mangement by regulations , il quale invece affligge i governi italiani oltre che le nostre politiche e il nostro diritto. L’attenzione all’efficacia delle politiche che lui pose soprattutto con il Libro Bianco è una lezione di grande attualità per le pubbliche amministrazioni, in una fase in cui le logiche della spending review ci obbligano a riallocare meglio le risorse pubbliche e la riforma “Brunetta” del 2009 spinge la nostra l’attenzione sulla performance organizzativa delle amministrazioni e sugli standard di qualità dei servizi.
Proprio nel rivedere il concetto di tutela a cui il diritto del lavoro e le politiche dovevano tendere egli affermava in una famosa intervista che ” la questione è come si tutelano le persone; qual è il modo più efficace, quali sono le tecniche di regolamentazione giuridica che possono consentire una migliore tutela“. E a proposito dei servizi pubblici dell’impiego, definiti “scandalosi” in senso biblico, affermava che “naturalmente chi è capace si trova il lavoro da solo e chi poveretto, per varie ragioni, non ha una famiglia abbiente, non ha delle amicizie o non si mette in certi circuiti, non trova lavoro.” Tale attenzione all’efficacia del servizio pubblico può valere per tutti i servizi di welfare e chiama in causa, in maniera chiara e puntuale, il tema della performance e del migliore utilizzo delle risorse pubbliche. Le tutele per essere tali devono essere per tutti. Questo era il cuore del suo messaggio e oggi dovremmo dire il cuore dell’essenza del ruolo pubblico.
La lezione di Marco Biagi dovrebbe portare, nel settore pubblico, ad affrontare il tema dell’armonizzazione rispetto al d.lgs. 276/2003 e alle tutele nei confronti del lavoro flessibile, che proprio con il datore di lavoro pubblico trova le minori garanzie e certezze; senza trovarsi a subire le modifiche che in maniera diretta ed indiretta deriverebbero da un accordo quadro pensato innanzi tutto per il settore privato. Quindi nell’affrontare il ridisegno del settore pubblico attraverso gli strumenti della revisione della spesa e della performance organizzativa, occorrerebbe individuare le funzioni e i servizi fondamentali che vanno assicurati in una democrazia piena. Il “disagio” della democrazia, come inadeguatezza a mantenere le promesse di benessere e tutela, che investe i paesi occidentali si caratterizza per una crisi della spesa pubblica e per una crisi di efficienza ed efficacia dei sistemi amministrativi.
Con riferimento ai servizi per il lavoro Marco Biagi era consapevole di un’offerta debole o inesistente e si preoccupò per questo di far decollare un sistema policentrico e polifunzionale che coinvolgesse sussidiariamente le parti sociali e il settore privato. Nel suo insegnamento era importante sapere se qualcuno concretamente “avrebbe preso in carico” il giovane disoccupato o il lavoratore che veniva espulso dal mercato del lavoro, prescindendo dalla natura giuridica del soggetto, e quali servizi dovevano essere erogati. Non si era soddisfatti dal fatto che c’erano sulla carta delle norme o degli uffici. Quante disposizioni oggi rimangono sulla gazzetta ufficiale o sono formalmente applicate? e quindi quanti diritti sociali non vengono garantiti?
Molti anni prima dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 150/2009, che ci obbliga (sigh!) a far sì che gli obiettivi che si dà un’amministrazione siano “rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività” e “tali da determinare un significativo miglioramento della qualità dei servizi erogati”, Marco Biagi scriveva che “la mia etica (e non la legge ndr.) mi impone di occuparmi di tutti, non solo di quelli che sono tutelati. Quindi io devo trovare degli strumenti che riguardino tutti, ma un po’ più nel dettaglio.”
In una fase di crisi e di perdita di valori, alcuni insegnamenti ed eredità possono costituire la guida per una riforma sostanziale e non meramente legislativa delle pubbliche amministrazioni, consapevoli che non si tratta nel caso delle pubbliche amministrazioni di percorrere l’ultimo miglio.
Prof. Francesco Verbaro