Il primo magistrato ucciso da un’autobomba: la figlia ne ricorda la figura misconosciuta
Rocco Chinnici è morto un giorno di fine luglio del 1983, vittima di un’autobomba, la prima che colpiva un magistrato. Il giudice fu ucciso perché capì che la mafia non si combatte da
soli e per questo volle costituire un “pool” di inquirenti: a farne parte chiamò accanto a sé
alcuni giovani magistrati, tra loro c’erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Rocco Chinnici fu anche il primo magistrato ad andare nelle scuole, perché aveva
compreso il valore dell’educazione alla legalità. A distanza di trent’anni, lo scempio
omicida di cui fu vittima appare ancora più oltraggioso.
A Palermo il 29 luglio fa caldo, le scuole sono chiuse, le spiagge di Mondello sono affollate
e solo in pochi sfidano la calura e la retorica ufficiale per ricordarlo. Lo fa la figlia in questo
libro: esce dal silenzio una donna che ha scelto la magistratura per seguire l’esempio del
padre. Un padre che parlava poco, ma quel poco bastava. “La cosa peggiore che possa
accadere è esser ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta,
so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere,
non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un magistrato come me è normale
considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli
altri giudici di continuare a lavorare.”
CATERINA CHINNICI è nata a Palermo, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza a soli ventuno anni. Subito dopo ha intrapreso la carriera di magistrato. Si è quasi sempre occupata di giustizia minorile. Per le sue indagini alla fine degli anni Novanta è finita nel mirino delle mafie siciliane.